Speaker's corner

di Moraschini Benedetta e Rota Gaia

Lo Speakers' corner nasce nel 1855 come punto di ritrovo per manifestanti che protestavano contro una legge appena emanata, che proibiva l'apertura domenicale delle attività commerciali. Nonostante ne siano poi nati diversi in più parti del mondo, l'originale si trovava nella più famosa zona verde di Londra, Hyde Park, e tuttora chiunque ha la possibilità di recarvisi per esprimere la propria opinione riguardo a temi di natura politica, ecologica, etica e sociale.

Allo stesso modo questa sezione è dedicata alla libera espressione delle proprie idee, soprattutto rispetto ad argomenti trasversali e di pubblico interesse.


Perché tante controversie sul body positivity?                                   di Moraschini Benedetta

Se anche tu sei almeno vagamente attivo in rete non potrai aver fatto a meno di notare che negli ultimi mesi ha preso piede un interessante quanto dibattuto movimento, noto con il nome di body positivity. Questa corrente, nata dalla parte femminile del web ma che ha finalmente raggiunto anche l'universo maschile, è secondo alcuni una manna dal cielo mentre secondo altri la causa della nostra probabile quanto imminente estinzione.

Ma iniziamo con il fare chiarezza. Innanzitutto è doveroso sapere che questo hashtag vuole spingerci, come dice il nome stesso, ad amare il nostro corpo nonostante i difetti che tutti abbiamo e, più in generale, esso vuole sostenere che tutti i corpi sono degni di rispetto ed inclusione.

Non sembra poi un'idea così orripilante, o sbaglio? Ci voleva proprio un bel messaggio d'amore verso se stessi, specie se consideriamo che questo potrebbe dare una mano a risolvere problemi quali autostima bassa ed insicurezza che purtroppo riguardano i giovanissimi e non solo. 

Eppure, dopo ogni campagna pubblicitaria che rimanda a questo movimento, di polemiche ce ne sono in quantità. Basta dare un'occhiata a qualche commento per averne la conferma. Interessante è notare come persone di ogni età, improvvisandosi medici esperti, riescano a fornire rapide diagnosi basandosi su una semplice immagine, permettendo al malcapitato in fotografia di saltare lunghe liste d'attesa, prenotazioni e visite specialistiche. Una bella comodità. Su ciò che spinga qualcuno a sentirsi in diritto di riversare parole d'odio sul profilo di uno sconosciuto, non ho intenzione di soffermarmi perché la risposta, come ben sappiamo, richiede uno studio più approfondito. Quello che vorrei invece sottolineare è come la mentalità sia ancora chiusa in maniera addirittura ridicola su determinati argomenti. È vero che non tutti i corpi immortalati in campagne del movimento sono corpi sani. Ma, se stai annuendo perché anche tu ritieni che questo comporti una diffusione di ideali di bellezza non salutari, allora mi tocca dirti con chiarezza che sei proprio fuori strada, perché non è questo il punto. Evitando di sottolineare che nemmeno i modelli magrissimi e ritoccati proposti fino ad oggi fossero poi così sani, bisogna invece chiarire che il body positivity non vuole lanciare future supermodelle. Né tantomeno far sì che essere obesi diventi la nuova moda. Non ho intenzione di entrare nei meriti del perché una persona sia sovrappeso, che come tutti sappiamo possono essere più di uno e non sono sempre collegati all'alimentazione. Voglio semplicemente dire che, indipendentemente da come sia il tuo aspetto fisico, il tuo corpo ha dignità e merita rispetto.

Quindi, la prossima vota che vedrai la foto di qualcuno che, nonostante i mille difetti, trova il coraggio di mostrarsi per come è di fronte a una macchina fotografica, aspetta un attimo prima di commentare. Ricordati che ognuno sta combattendo battaglie di cui non sappiamo l'esistenza. Che la salute non si misura in chilogrammi. Che non sta a te giudicare. E poi sorridi, perché tutto ciò che quella persona sta chiedendo è un po' di rispetto, e sono sicura che tu riuscirai a darglielo.



Un'eroina che ci è di esempio                                                                                      di Gaia Rota

Malala Yousafzai è nata il 12 luglio 1997 a Mingora in Pakistan. Nel suo nome c'era già il suo destino. Questo infatti è stato scelto dal padre e deriva da Malai, la giovane figlia di un contadino di Maiwand, che è ricordata per aver soccorso i feriti sul campo e per aver sostituito il portabandiera ucciso mettendosi alla testa delle truppe afgane durante l'occupazione inglese. Non è difficile comprendere da chi la ragazza abbia appreso quei valori e la tenacia che l'hanno resa una paladina del diritto all'istruzione.

La sua storia è esemplare. Figlia di un padre preside e una madre analfabeta, aveva solo dieci anni nel 2007 quando i talebani imposero il loro regime nella Swat Valley nel Pakistan nord-occidentale. Malala iniziò il suo impegno come attivista all'età di undici anni curando un blog per la BBC sulle condizioni di vita della popolazione sotto il regime dei talebani che non permette alle donne di accedere all'istruzione, firmandosi con lo pseudonimo di Gul Mukai. Grazie a questo blog ottenne popolarità ma anche l'ostilità dei talebani che culminò con un attentato verso la sua persona il 9 ottobre 2012 mentre la ragazza, appena uscita da scuola, si trovava sul pullman con cui era solita tornare a casa. Fu ferita da tre colpi di arma da fuoco al collo e alla testa e anche altre due sue amiche furono colpite. Malala, allora solo quattordicenne, fu trasferita, mentre era ancora in coma, nel Regno Unito. Dopo un delicato intervento al cervello, la giovane è guarita e ha continuato gli studi di economia, filosofia e scienze politiche all'Università di Oxford. Il 10 ottobre 2014, a soli diciassette anni, è stata insignita del premio Nobel per la pace insieme a Kailash Satyarthi, un attivista indiano, diventando così la più giovane vincitrice di un premio Nobel. Non è potuta tornare per anni nel suo Paese a causa delle minacce dei talebani, che l'hanno descritta come «il simbolo degli infedeli e dell'oscenità», e di altri circoli islamici radicali contrari all'emancipazione femminile. Nel 2018 l'attivista ha finalmente potuto visitare la sua città natale, Mingora, dalla quale era mancata per ben sei anni.

«Non mi importa di dovermi sedere sul pavimento a scuola. Tutto ciò che voglio è istruzione. E non ho paura di nessuno». Questo è il messaggio di Malala, la quale non ha smesso di lottare per il diritto all'istruzione delle donne, ma più in generale, di tutti. Oggi in Occidente la formazione scolastica è alla base della vita dei bambini e dei ragazzi e sembra scontata. In molti altri Paesi del mondo la maggior parte dei bambini non ha accesso a un'istruzione valida. Lottare per la loro istruzione è il primo passo verso uno sviluppo sostenibile e duraturo dei loro Paesi. Nelson Mandela non stava esagerando quando disse che "l'istruzione è l'arma più potente che possiamo usare per cambiare il mondo". La conoscenza è potere ed aiuta a sfuggire ai soprusi che vengono facilmente perpetrati a svantaggio degli ignoranti. Questo è noto anche ai talebani che hanno sparato a Malala e che hanno ucciso molte insegnanti donne per paura del cambiamento e dell'uguaglianza che porterebbero nella loro società.

Un personaggio che è spesso messo in secondo piano quando si racconta la storia di Malala, ma che in realtà è stato decisivo nel suo percorso di crescita, è il padre della ragazza, il quale sapeva del blog della figlia e le è sempre stato accanto supportandola nella sua lotta. Il padre viveva in una condizione privilegiata rispetto alla figlia perché, essendo uomo, non subiva le stesse discriminazioni; eppure, invece di impedirle di scrivere il blog per paura delle possibili ripercussioni su di lui e sulla sua famiglia, è stato il primo a credere in lei. In un mondo in cui ormai tutti preferiscono lottare per sé stessi e non per dei giusti ideali comuni, il gesto del padre di Malala, che in quanto uomo era privilegiato e quindi avrebbe potuto disinteressarsi della condizione di sua figlia e delle altre ragazze afgane, è rivoluzionario. Ha usato la sua fortuna, cioè il suo essere uomo, per battersi per i diritti delle donne. 

Chiunque si trovi in una posizione di privilegio dovrebbe sentire il dovere morale e la responsabilità di lottare per gli altri: gli eterosessuali per i diritti di coloro che non lo sono, i bianchi per i diritti dei neri, le donne occidentali per le donne che vivono in Paesi nei quali non godono di diritti, le persone istruite per il diritto all'istruzione di coloro che non sono così fortunati, ecc... Tutti possiamo e dobbiamo fare qualcosa per qualcun altro, ricordandoci che le fortune che abbiamo non sono state meritate. La storia di Malala ci insegna inoltre che, anche se siamo vittime di una discriminazione, possiamo sempre aiutare qualcuno che è meno fortunato di noi o che è discriminato per altri motivi, senza che ciò sminuisca le nostre battaglie personali.




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